Sbagliarsi sulla felicità

Sbagliarsi sulla felicità

È possibile che uno si sbagli riguardo alla sua felicità o infelicità? Intendo dire, è possibile che uno creda di essere felice pur essendo infelice o, viceversa, creda di essere infelice pur essendo felice? Oppure che uno creda di essere molto più felice, o molto più infelice, di quanto lo sia realmente?

Credo di sì. D’altra parte, se qualcuno mi chiedesse se sono felice o infelice, o quanto sono felice o infelice, non saprei cosa rispondere.

Infatti la felicità non è una condizione momentanea. Nel momento attuale si prova più o meno piacere o dolore, ma non felicità o infelicità. La felicità si misura su un tempo lungo. Oserei dire che la felicità riguarda il passato e/o il futuro, non il presente.

Chiedere a uno: “quanto sei stato felice in passato?” equivale a chiedergli: “quanto hai goduto in passato?”.

Forse dovremmo smettere di usare termini come “felicità/infelicità”, e “felice/infelice”, e sostituirli con “piacere” e “dolore”.

Forse dovrei evitare di chiedermi se sono felice, se sono stato felice, se prevedo che sarò felice, e piuttosto chiedermi quanto sto godendo e soffrendo, quanto ho goduto e sofferto, quanto prevedo che godrò e soffrirò.

Forse il concetto di felicità è un’aberrazione religiosa legata all’idea di paradiso. Paradiso = piacere costante ed eterno. Un’assurdità. Così come è assurdo chiedersi se una certa azione mi farà guadagnare o perdere la felicità.

Una certa azione mi procurerà una certa quantità di piacere e/o di dolore, null’altro. La felicità e il paradiso non esistono che come illusioni.

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